La “dimensione onirica e sospesa di Edward Hopper” ci insegna che nell’attesa di “qualcosa” all’interno di quattro mura si possono ritrovare mondi ricchissimi, anche più di quelli che potremmo distrattamente trovare nell’iperstimolante mondo di “fuori”.


Nei quadri di Hopper sembra che stia sempre per succedere qualcosa, anche quando non succede niente.
Il non detto, l’elemento mancante e l’essere isolati da tutto, amplifica la quotidianità e la sua essenza.


Nei suoi dipinti vi è un’implosione interna, non visibile all’occhio umano ma percepibile dall’inconscio.
Hopper nelle viscere della città, assaporando ciò che si nascondeva nei vicoli dimenticati da Dio, ha trovato ed estrapolato dei messaggi e dei significati profondi.


Anche se i soggetti ritratti erano “solo” un interno di un bar, di una stanza, di una casa, lui ne ha tratto metaforicamente dei luoghi preziosi di introspezione e di ricerca di se stessi.


Ha esaltato la solitudine statica, l’ineluttabilità del tempo che si ripete, giorno dopo giorno, e invade stanze ed esistenze (mai come adesso, non vi sembra familiare questa sensazione?).


Un pò come Hopper dovremmo rielaborare tutti gli stimoli assorbiti negli ultimi anni e farne tesoro, soprattutto in situazioni come quella che stiamo attualmente vivendo a causa del nuovo Coronavirus, in cui siamo tutti (ma proprio TUTTI) chiamati ad esser confinati nelle nostre case.


Hopper riesce a incastonare un momento e a renderlo importante, anche se sembra banale e scontato, riesce a ricavarne un insegnamento e mi dico che forse, dovremmo farlo anche noi.
Incastoniamo ogni momento, viviamolo intensamente, apprezziamolo e lavoriamo su noi stessi.


Approfittiamo per riscoprirci, ricongiungerci con qualcosa che avevamo dimenticato di volere o di essere, capovolgiamo i punti di vista e abbattiamo i pregiudizi: rendiamo questa “stasi” una sorta di “attesa” di qualcosa che sta per accadere, e cerchiamo di condurre questa attesa verso qualcosa di positivo e di più grande.